Da più di 10 anni vivo in Malaysia, consulente nell’ambito dell’internalizzazione d’impresa e dell’export, lontano dall’Italia e dai miei affetti (sono papà di Laura e Davide). Allo scoppio della pandemia il mio ufficio in Menara Citibank, all’ombra delle Twin Tower di Kuala Lumpur, è stato forzatamente chiuso. Mentre i funzionari del Governo volevano riaprire gli uffici e gli esercizi per non frenare l’economia, i nuovi casi di contagio continuavano ad essere registrati quotidianamente, anche con cifre in rapida crescita, soprattutto tra migranti privi di documenti che lavorano nei cantieri (malcostume diffuso in Malaysia). Come in Italia, ha prevalso la tutela della salute a discapito dell’economia.
La massiva diffusione della pandemia era stata favorita dai pellegrini che avevano dormito nelle tende e sostato fuori dalla Sri Petaling Mosque appena fuori città, per partecipare ad un evento religioso che si era tenuto dal 27 Febbraio al 1 Marzo, svegliandosi prima dell’alba per inginocchiarsi su file di tappeti per pregare spalla a spalla e che non potevano sapere, che tra gli ospiti non graditi, ci fosse anche il coronavirus.
In aggiunta, molti musulmani, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, hanno infranto le regole e le restrizioni del MCO (movement control order) per celebrare il Ramadan e per potersi ricongiungere alle loro famiglie. Il Ramadan in questo Paese è particolarmente sentito e viene celebrato con specifiche ritualità. Le regole restrittive imposte dal Governo a fronte dell’emergenza sanitaria si scontravano con le esigenze dei fedeli di santificare questo periodo. Così si sono viste folle di fedeli che si preparavano a pregare fuori dalla moschea nazionale (chiusa) mentre si celebrava Eid al-Fitr, la festa musulmana che segnava la fine del santo mese di digiuno del Ramadan. La polizia è stata costretta ad arrestare migliaia di persone per aver infranto il MCO, era stato previsto dal Governo l’arresto per queste gravi violazioni delle disposizioni. Nonostante la Malaysia sia stata uno dei Paesi più colpiti dal Covid19 il Governo ha reagito in maniera repentina. Il servizio sanitario ha reagito bene, con la creazione di cordoni sanitari hot-spot in tutto il paese con prelievi a campione sulle strade.
Vivere da solo… non ci ho mai pensato molto e non mi è mai pesato. Ma mentre il nuovo virus mi costringeva a distanziarmi socialmente, ho iniziato a sentirmi strano. Dopo tutti questi anni di sfide e di grandi soddisfazioni, io mi sentivo solo, smarrito e preoccupato in un Paese che dopo molti anni mi sembrava estraneo, non il mio. Mi mancava la possibilità di vedere, conversare, abbracciare o trascorrere del tempo con gli amici. La vita sembrava più superficiale, più simile alla sopravvivenza che alla vita. La mia attività basata sulle relazioni interpersonali, sui viaggi intercontinentali, su meeting e pranzi di affari, cerimonie per la firma di accordi internazionali, era svanita. Sembrava fossi entrato in una nuova dimensione, in un “tempo sospeso”, nel quale mi sentivo vulnerabile e avevo paura per la mia salute e per quella dei miei familiari. La solitudine imposta e non scelta, è sempre dolorosa. Ricordo di esser stato colpito dalla riflessione di qualcuno, che suonava così: “Quando finiremo questo periodo di isolamento e ne usciremo, non credo che la società cambierà, siamo studenti lenti e troppo pigri per imparare cose nuove”.
Io, per natura positivo e dalla forma mentis incentrata sulla propositività, sono invece convinto che da questa esperienza ne usciremo più forti e potremo dire: “wow, ho fatto molte cose buone in questo periodo, perché non continuare?”. Ora siamo in una fase di decisioni difficili e di una nuova consapevolezza. La pandemia dovrebbe incoraggiarci a riflettere sul potere della nostra volontà collettiva. Nonostante l’enorme numero di posti di lavoro persi, la pandemia potrebbe essere un’opportunità per ripensare al mondo del lavoro e all’economia del Paese: verso quali settori indirizzare le nostre energie? Quali parti dell’economia vorremmo ripristinare e di quali parti potremmo fare a meno?
In questi ultimi mesi si è fatto largo ricorso alla parola crisi. In giapponese la parola “crisi” racchiude in sé un duplice aspetto, rimandando sia al pericolo sia all’opportunità. È nella mia tendenza a guardare sempre il bicchiere mezzo pieno, che vorrei soffermarmi sulla seconda ipotesi, quella di una crisi che dischiude nuove opportunità di sviluppo e benessere. La crisi del coronavirus ci apre infatti le porte alla creazione di società più compassionevoli, tipi di società che si riconoscono perché collegate e perché mirano a gestire il nostro pianeta in modo da poterlo donare alle generazioni a venire.
Da un punto di vista evolutivo, la salute dell’uomo viene dalla comunità. La vita umana non prospera in isolamento. Far parte di una comunità è importante per la nostra salute fisica e mentale. Ad oggi viviamo già in modo molto più egoistico e distanti gli uni dagli altri, di quanto non sia mai stato in passato. Dobbiamo continuare su questa strada? La pandemia potrebbe darci l’opportunità di ripristinare le connessioni perse, quelle umane, e creare società più integrate e cooperative. Il concetto del “tutto è connesso” si dovrebbe tradurre in una rinnovata coscienza collettiva nella quale si è vicini e collaboranti, in una realtà nella quale ogni forma di vita viene trattata con rispetto e dove il rapporto uomo-pianeta sia incentrato sull’equilibrio e sulla sostenibilità. È giunto forse il momento di una seria messa in discussione dell’individualismo esasperato, causa e allo stesso tempo sintomo di alcune patologie sociali. In questo nuovo tempo potremo scoprire che si può vincere soltanto grazie ai legami con gli altri esseri viventi, dando così forma ad una vittoria corale in cui “tutto è connesso”.
Sogno un futuro nel quale spenderemo più tempo per stare insieme, per rafforzare i nostri rapporti interpersonali e viverli a pieno, senza relegarli ai ritagli di tempo libero dal lavoro. Confido che questo ci consentirà di incrementare il nostro benessere e che attraverso la condivisione potremo alleggerirci dal peso di questi mesi difficili co-costruendo una rinnovata normalità, quella della nuova consapevolezza.
Vi lascio e vi saluto con le parole di Franz Kafka: “Non sprecate tempo a cercare gli ostacoli: potrebbero non essercene.”
Rocco Papapietro è consulente di strategie di internazionalizzazione come direttore esecutivo di Verdevita Sdn. Bhd a Kuala Lumpur (Malaysia), dove è anche general manager di Compagnia delle Opere Asean DESK.