La nave Italia (ispirata a “La Ballata del Vecchio Marinaio” di Samuel Taylor Coleridge, 1798)
Allentate e sdrucite eran le vele,
fiacco e tarlato l’albero di mezzana,
le crepe sul ponte nascoste da tele,
la ruggine coperta con pezze di lana.
Dalle sartie lente pendevan cime strappate,
la prua affondava stanca fra onde morte.
La ruota del timone era allentata,
da poppa si vedevan solo scie contorte.
E la nave andava, senza una rotta
né una meta precisa, seguendo le correnti,
spinta dall’aria fioca, un po’ corrotta,
lenta e pigra, ed in balìa dei venti.
Poi di colpo arrivò cupo un presagio,
nuvole rosse, quasi viola, in cielo.
Un tramonto col sole che calava adagio.
E a metà della notte si squarciò il velo.
Una tempesta mai prima immaginata.
Saette, tuoni, raffiche da paura,
montagne d’onde sulla nave sbandata,
la ciurma tutta temeva la sventura.
In breve tempo le vele stracciate
finirono a pezzi nel mare in burrasca.
Le scialuppe dagli argani strappate,
l’albero di maestra uscì dalla sua tasca.
Seguivano la nave con ali spiegate
i bianchi gabbiani e le procellarie
in attesa che dalle stive allagate
uscissero le provviste e tutte le cibarie.
Ad una ad una si apriron le fiancate,
entrò l’acqua del mare, inarrestabile,
tutte le vecchie assi si erano sfasciate,
e la nave andò giù, a fondo, inesorabile.
In superficie era un brulicar di legni.
Gabbiani e procellarie eran fuggiti.
All’alba il mare tornò calmo, e i sostegni
furono colti da due uomini atterriti.
Il nostromo era aggrappato al boma,
il timoniere alla ruota del timone
pregando il Dio del mare nel suo idioma
che un miracolo gli salvasse il paglione.
Ed ecco da lontan venir per mare
un barcone pieno di subsahariani
partito giorni prima per scappare
da fame e guerre, ma a lor tesero le mani.
Franco Francescato, bolognese, scrittore di racconti, già pubblicitario, è produttore di vino nel Monferrato (si definisce “ottimista per disperazione”)