Per la prima volta da quando ho lasciato l’Italia più di 20 anni fa, sento che è inarrivabile.
Non lontana. Lontana lo è sempre stata. Ma adesso è proprio irraggiungibile. Un sentimento nuovo, inesplorato. Ho sempre pensato di poter prendere un aereo ed essere lì, in qualsiasi momento. Non in un attimo, perché la distanza dalla California è sempre stata importante. Ma adesso è una distanza impossibile. Come una maratona che non finisce mai. Inimmaginabile.
Per oltre 30 anni, prima in Italia e poi negli Stati Uniti, ho lavorato in agenzie di comunicazione e marketing, aiutando aziende grandi o piccole, locali o globali, a creare legami importanti e autentici con i propri consumatori, clienti, dipendenti, comunità locali o in rete, investitori o azionisti. Ho avuto la fortuna di lavorare con imprese che hanno rivoluzionato il mondo, da Apple ad Intel.
Poi, poco più di un anno fa, ho deciso di mettermi in proprio. Volevo avere più tempo per me, per la mia famiglia, e per aiutare la non-profit di mia moglie che combatte il razzismo, creando nuovi storytellers provenienti da famiglie emarginate. Se cambi chi racconta le storie, cambi le storie e cancelli i pregiudizi creati dalle stesse. Ma sentivo anche una necessità, quasi viscerale, di lavorare di più con l’Italia, di aiutare questo paese tanto bello quanto in difficoltà. Con l’idea, forse un po’ americana, di “give back.” Ho pensato: “L’essere italiano mi ha giovato e portato fortuna nel corso della mia carriera. E’ ora di contraccambiare”. Mettiamo la mia esperienza e i capelli brizzolati— un modo elegante per non dire grigi— a disposizione delle tante aziende innovative italiane. Tutto questo, ho pensato, mi porterà anche a passare più tempo in Italia, visitando famigliari e amici, tra una pizza come si deve e un tiramisù fatto in casa. Non male. Convinto, nell’ottobre del 2019, ho lanciato “Penati and Partners” con l’obiettivo di aiutare “agencies and brands reach their full potential, while saving time and money”. La nuova avventura è iniziata alla grande, lavorando immediatamente su alcuni progetti interessanti, anche con un paio di aziende con forti legami con l’Italia. Poi… il Covid-19 è arrivato. Cambiando tutto. Stravolgendo tutto, incluso i collegamenti aerei tra gli Stati Uniti e l’Europa.
E così, almeno per un po’, non potrò visitare il Bel Paese, il mio Paese. Sembra un niente, un inconveniente, ma non lo è. È qualcosa di più profondo. È come se il cordone ombelicale che ci teneva ancora uniti, fosse stato improvvisamente tagliato, senza avviso. Mi sento come si dovevano sentire gli emigranti del ‘900. D’America o d’Argentina. Con un oceano praticamente invalicabile alle spalle, un ostacolo insormontabile per chi volesse tornare indietro. Ovviamente con tutti i dovuti raffronti. Io da privilegiato, loro da esploratori, conoscitori dei sentieri percorsi, ma inconsapevoli di ciò che gli stava davanti. Io con FaceTime, GPS e una bella casa vicino al mare. Loro spesso analfabeti, senza mezzi di comunicazione adeguati, e due lire in tasca.
Ma come loro sento il bisogno, più che mai, di sentirla vicina, raggiungibile. Come se non ci fossimo mai lasciati. Ho così riscoperto la gioia di leggere libri italiani, portati con me negli anni, ma dimenticati sullo scaffale della libreria. Se quando sono venuto qua, avevo una fame continua di assorbire la cultura Americana e del mondo intero, adesso sento ugualmente forte il richiamo alle mie radici. Più che mai ascolto artisti italiani. Scoprendo, o meglio, riscoprendo che l’Italia è un paese di poeti musicisti. Con mia moglie cinese-americana, facciamo la pasta con la macchina a manovella, il pesto con il basilico coltivato dalla vicina, e l’Amatriciana con il guanciale prodotto localmente. Perché il cibo è memoria. E’ l’aereo che non posso prendere, il viaggio che non posso fare, gli amici e i famigliari che non posso abbracciare, i clienti che non posso incontrare.
Allora guardo le copertine sbiadite dei miei, ormai vecchi, libri italiani e mi ci tuffo dentro, scoprendo storie piene di colori, vita e sapori. E in quell’istante, immediatamente, mi sento più vicino di sempre al mio Paese. Come se non fossi mai andato via.
Ma siamo italiani. Le avversità ci hanno sempre fatto compagnia. E sempre, impariamo qualcosa per uscirne migliori. Sarà così anche questa volta.
Luca Penati è il founder e chief advisor di Penati & Partners, uno studio di consulenza di comunicazione strategica con sede a San Francisco | Silicon Valley, California.