Non sono stato agli Europei di calcio, non sono stato alle Olimpiadi di Tokyo. E’stata una stagione tale di assenze, che parliamo al passato di eventi che ancora avrebbero dovuto cominciare: il 12 giugno gli Europei, una festa itinerante per i 60 anni della Uefa, il 24 luglio i Giochi di Tokyo chiesti e ottenuti dal Giappone sette anni fa per avere dall’abbraccio del mondo la forza di ripartire dopo il disastro di Fukushima,
Insomma, siamo stati catapultati in una nuova dimensione, col calendario che ha perso la sua essenza positiva di agenda e ha assunto le sembianze di un elenco di assenze, di negazioni. Forse anche per questo ci siamo aggrappati a ogni formula possibile, senza neanche capirne il significato: possibile, mi chiedo, parlare di distanziamento sociale, il nemico che dovremmo combattere anche in questi tempi difficili, quando dovrebbe essere più logico parlare di distanziamento fisico, distanti ma uniti?
Bisogna fare attenzione alle parole. Sbagliate chiudono le porte. Indovinate, giuste, sono un faro che illumina il tunnel e ci riporta alla luce. Il mio faro, da sportivo confinato in casa, nessun evento da commentare, nessuna gara da seguire, dunque anche una progettualità ridotta al minimo, è stata questa frase: un virus si combatte con comportamenti virali. Il gesto eroico, ma solitario, di un supereroe non basta. Non solo: svela la debolezza del supereroe, la sua autorereferenzialità, che è poi la autoreferenzialità dello sport che ha continuato, pure di fronte all’evidenza, a dire che i Giochi ci sarebbero stati ( e adesso invece c’è chi persino in Giappone non è sicuro che si possano tenere l’anno prossimo, della Serie A di calcio che provando a essere più forte del virus ne è stata semmai sconfitta, incapace di esprimere un piano B, incapace persino di conoscere e riconoscere le proprie debolezze
Un virus si combatte con comportamenti virale è un invito, per me, a ritornare alle radici dello sport: dire che l’importante è partecipare non significa volersi rifugiare in un dilettantismo anacronistico, significa piuttosto riconoscere che d’ora in poi lo sport si dovrà impegnare più per i contenitori che per i contenuti.
Bisogna rendere lo sport un ambiente sicuro, persino bello da frequentare, prima di invitare ogni tipo di pubblico, allo stadio, davanti alla tv e sui social a vedere quanto è bella una rovesciata di Ronaldo. Prima essere un ambiente, poi, subito dopo, pensare all’ambiente. Ragionare e progettare ogni impianto, ma anche ogni evento, ogni gara in modo inclusivo. Pensiamo ai runner: da Mattia in poi, dal paziente1 a oggi, hanno attraversato tutte le categorie sociali, sono stati considerati untori della peggior specie quando per una loro corsa non si preoccupavano delle norme, e delle paure, che valevano per tutti gli altri, e adesso tornano a essere ambasciatori di una evidenza che per noi, eredi dei romani, dovrebbe essere quasi genetica, mens sana in corpore sano. Eppure, proprio le maratone dovranno cambiare se vorranno sopravvivere: nessuna partenza di massa e, prima, nessun bivacco, lasciato al via pieno di rifiuti di ogni genere. Dunque meno affollamento: la qualità vince sulla quantità. Da qui, altra lezione per il mondo dello sport.
Un virus si combatte con comportamenti virali significa essere capaci, avere la forza di applicare la proprietà distributiva. Smettiamola di pensare alla squadre come gruppi di undici giocatori che al novantesimo minuto escono dal campo, pensiamo piuttosto a communities che vivono secondo i codici spazio-temporali dei social: everywhere, e 24/7/365.
Dunque, non piangiamo per il calo delle sponsorizzazioni, e dimostriamo di saper reagire: non possiamo chiedere alla società cosa può fare per lo sport, dobbiamo dimostrare cosa lo sport può fare per la società. Capendo, ad esempio, che il crowdfunding è una risorsa straordinaria, se si è capaci davvero di contarsi. Lo diciamo da sempre che un virus si combatte con comportamenti virali: l’unione fa la forza. E per questo, convinzione più che convenienza, o, peggio, convenzione, sto per lanciare un profilo Facebook, Mi faccio in quattro per …, che sarà motore di una campagna di crowdfunding multicanale.
Luca Corsolini giornalista sportivo dopo un lungo periodo a Sky è oggi specialista della comunicazione sportiva, impegnato nel promuovere formule innovative di CSR (nella sua originale accezione, Responsabilità Sociale dello Sport).