Caro Roberto che tempi bui! Certo usciremo a riveder le stelle. Sul quando non mi pronuncio, quindi parliamo piuttosto del “come ne usciremo?”.
Io sono un fisico e quindi sono abituato a ragionare sui numeri. Mi piacerebbe parlare un po’ con i numeri per cercare di rispondere alla domanda.
C’è un paese che è stato colpito più o meno contemporaneamente a noi dal virus e a cui tutti guardiamo con stupore e forse, diciamolo, un po’ di invidia. È la Corea del Sud. Quando ll’Italia era già in lockdown ed i morti erano già oltre 1000, in Corea solo ristrette zone del paese erano in quarantena ed i morti erano meno di 70. In molti hanno analizzato il fenomeno e individuato di fatto due cause: un estesa campagna di test (oltre 222mila tamponi contro i circa 73mila italiani, all’epoca) ed un capillare controllo sociale tramite un’invasiva app sui cellulari. Di quest’ultimo punto e della pericolosissima sottovalutazione delle limitazioni alla privacy ed alle libertà personali cui si va incontro nei periodi di crisi, si potrebbe discutere a lungo. Basti pensare che alcune settimane fa negli USA sono stati reiterati dalla Camera degli Stati Uniti alcuni provvedimenti “temporanei” di limitazione dei diritti civili approvati in fretta e furia dopo l’11 settembre. Ma questa è un’altra storia….. e magari ne parliamo un’altra volta.
Torniamo al virus e ai tamponi. Perché la Corea ne ha potuti fare così tanti? Perché, dopo la crisi seguita alla SARS che li aveva colti impreparati, e nonostante l’esiguità dei morti di allora, la Corea ha studiato e messo a punto un sistema ed una metodologia avanzata di test che gli ha permesso di effettuare e valutare tamponi con grandissima rapidità ed efficacia.
Il tutto (sia l’analisi e la gestione dei risultati dei test che la limitazione agli spostamenti ed alle libertà personali) condito con un massiccio uso di tecnologie informatiche avanzate basate sull’intelligenza artificiale.
Come è stato possibile tutto questo e che lezione possiamo trarne per il nostro futuro?
Veniamo ai numeri di cui parlavamo prima e vedremo che la spiegazione ci sembrerà più chiara.
Nel 1965 la Corea del Sud aveva un reddito per abitante pari al 12 % di quello degli USA, nel 2010 era salito al 65 % di quello americano.
Con una popolazione di circa l’80 % ed un PIL di circa il 60 % di quello britannico, la Corea del Sud al 2015 investiva oltre una volta e mezzo in Ricerca & Sviluppo della vecchia signora del Commonwealth.
La Corea del Sud è il paese al mondo con la più alta percentuale di laureati. Nel 2015 quasi il 70 % dei coreani tra i 25 ed i 34 anni aveva una formazione di terzo livello. In Italia non si raggiunge il 20 %.
In piena crisi economica (2008-2009) il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) ha chiesto ai paesi più sviluppati di rilanciare la crescita investendo nella “green economy”. La Corea del Sud ha investito 60 miliardi di dollari nel progetto (il 5 % del PIL), l’intera Unione Europea 23 miliardi (pari allo 0.2 % del PIL).
E guardando a livello continentale la situazione non migliora (per noi…). Nel 2010 gli investimenti europei in R&S erano pari al 24,9 % del totale mondiale, nel 2014 sono scesi al 21.5, nel 2015 al 21.3 e nel 2016 al 21 % con un evidente andamento a decrescere. In termini assoluti l’Europa spendeva, nel 2015, 401.1 miliardi di dollari contro i 776 dell’Asia (pari al 41.2 % del totale mondiale). L’obiettivo di Lisbona 2002 era di arrivare ad investire, entro il 2010, almeno il 3 % della ricchezza in R&S per arrestare l’evidente declino scientifico e culturale del nostro continente. Di fatto, al 2010 la percentuale era scesa dal 1.9 al 1.6 %.
L’Italia ha 3,4 ricercatori ogni 1000 lavoratori, la Germania 7,2 e la Francia 8,2 (il Giappone 11).
Non credo che servano molti commenti. E’ da queste crude cifre che si deve ripartire. Sono momenti come questi che ci devono far capire cosa è importante per un paese. Certo i legami sociali, la solidarietà, la partecipazione sono fondamentali. Ma la ricerca scientifica, lo sviluppo a lungo termine di un paese non si può basare sulle donazioni fatte sull’onda dell’emozione. Le grandi sfide del futuro si vinceranno con la scienza e l’innovazione. Ci vuole visione, coraggio, pianificazione.
Quindi è vero, ce la possiamo fare, ce la faremo, ma per farcela bisogna uscire da questa tremenda crisi guardando lontano e pianificando gli investimenti necessari non solo per l’immediato. Consapevoli e orgogliosi del nostro grande passato ma altrettanto consapevoli che è al futuro che dobbiamo puntare avendo l’umiltà di guardare e, se serve, copiare da paesi più giovani e dinamici di noi.
Parlando della nostra grande storia…… ho finito da poco di leggere “Enrico Fermi, l’ultimo uomo che sapeva tutto” (D.N. Schwartz) la biografia di un personaggio complesso e per certi versi controverso, ma indubitabilmente uno dei più grandi fisici dell’era moderna. Enrico Fermi ha lavorato in un periodo di enorme crisi (il fascismo e la seconda guerra mondiale), ha rivitalizzato la fisica nel nostro paese prima di emigrare negli USA, ha creato una scuola che ha plasmato la fisica statunitense ed anche italiana per anni. Oltre che un grandissimo scienziato Fermi è stato un fantastico maestro, un didatta inarrivabile a detta di tutti quelli che lo hanno conosciuto.
Un aneddoto…. Nel 1953 Freeman Dyson, uno dei più importanti fisici statunitensi del secolo scorso, allora trentenne, si reca da Fermi a Chicago per esporgli i suoi risultati su un problema avanzato di meccanica quantistica (l’interazione pione-protone). Dopo averlo ascoltato Fermi gli dice “Ci sono due modi per fare i calcoli in fisica teorica. Un modo,…, l’altro modo….. Lei non ha nessuno dei due.” Alle rimostranze di Dyson, Fermi argomenta la sua risposta e Dyson torna alla Cornell University consapevole che il suo lavoro di diversi anni non aveva superato il test di Fermi. Nel 2004 Dyson scrisse in un articolo su Nature: “E cosi fu l’intuito di Fermi, e non qualche discrepanza tra teoria ed esperimenti, a sbloccare me e i miei studenti da un vicolo cieco”.
Ecco, ora sembra che l’Italia si sia infilata in un vicolo cieco. Per il futuro servono guide come Fermi che abbiano il coraggio di indicare strade e di dire le cose come stanno e giovani che abbiano passione, competenze e l’umiltà di accettare un giudizio anche severo ma giusto e illuminato.
Alessandro Rossi fisico CNR a Firenze