Nei giorni in cui la vita dell’Italia sotto gli occhi del mondo è sconvolta da un’emergenza sanitaria senza precedenti, è il momento di pensare a come saremo domani. Perchè questo drastico cambiamento della vita sociale sta già plasmando l’Italia del futuro. E dopo il virus, assieme al loro Paese anche gli italiani saranno diversi.
Spesso ispirati da eventi traumatici come guerre, cataclismi, migrazioni di massa, i grandi cambiamenti sociali e culturali procedono per strappi. Noi stiamo vivendo uno di questi momenti: costretti ad abbandonare consuetudini, a ripensare noi stessi, ne usciremo con una consapevolezza, una percezione della realtà, una visione del mondo diversi. Il cambiamento non sarà indolore ma rappresenta pure una gigantesca opportunità, per vedere finalmente dissolversi false certezze, cattive abitudini e modi di pensare inadeguati, che hanno frenato un Paese bellissimo ma troppo spesso ripiegato su se stesso e incapace di valorizzare il proprio straordinario passato, i suoi migliori talenti per essere protagonista del futuro. Cultura e creatività sono il patrimonio oggi più importante, per interpretare la complessità e inventare il futuro.
Un futuro che è dietro l’angolo. E’ il momento di immaginarlo assieme. Con fiducia e ottimismo.
#italianidopoilvirus è l’hashtag con cui raccoglieremo riflessioni, idee e ispirazione sull’Italia di domani. Sicuri che #neusciremomigliori.
Ecco il primo contributo.
All’inizio del secolo scorso un terribile terremoto seguito da un incendio distrusse quella che è oggi una delle città più ricche del mondo, culla mondiale dell’innovazione. Il via a una ricostruzione miracolosa di quella città, San Francisco, lo diede il figlio di immigrati italiani, capace di “vedere il futuro”, con scelte così fuori dagli schemi da esser considerate semplicemente folli e suicide dai suoi colleghi.
Piccolo banchiere, dalle macerie della Bank of Italy che aveva da poco fondato per servire gli immigrati italiani, Amadeo Peter Giannini estrasse un sacco con due milioni di dollari mettendoli a disposizione di persone che non avevano più nulla, nessuna garanzia materiale da offrire se non l’energia per ripartire. Prestiti offerti per strada su un tavolaccio posato su due barili, sulla base di “una firma e una faccia”.
Quella scommessa sugli altri, inconcepibile per gli uomini d’affari del tempo, fu azzardata ma vincente e trasformò un immane disastro in grande opportunità, dando il via alla rapida rinascita di San Francisco, dove la banca di Giannini divenne presto la più grande del mondo: Bank of America.
Piccolo banchiere, dalle macerie della Bank of Italy che aveva da poco fondato per servire gli immigrati italiani, Amadeo Peter Giannini estrasse un sacco con due milioni di dollari mettendoli a disposizione di persone che non avevano più nulla, nessuna garanzia materiale da offrire se non l’energia per ripartire. Prestiti offerti per strada su un tavolaccio posato su due barili, sulla base di “una firma e una faccia”.
Quella scommessa sugli altri, inconcepibile per gli uomini d’affari del tempo, fu azzardata ma vincente e trasformò un immane disastro in grande opportunità, dando il via alla rapida rinascita di San Francisco, dove la banca di Giannini divenne presto la più grande del mondo: Bank of America.
In una città in cui assieme agli edifici era crollata pure l’illusione di una crescita vertiginosa e infinita sulla scia della Corsa all’Oro, la rinascita fu ispirata dal coraggio di una persona capace di rischiare guardando agli altri con fiducia e in modo nuovo. Che diede un gigantesco contributo al progresso civile e culturale continuando a scommettere sugli altri, finanziando tra gli altri il un giovane cineasta per un film “di un certo successo” (Charlie Chaplin in “Il Monello“), l’autore di un’opera di altissima tecnologia che aveva esaurito i fondi (Walt Disney con “Biancaneve e i sette nani“) , la costruzione durante la Grande Depressione di un gioiello dell’ingegneria come il Golden Gate Bridge, due giovani neolaureati di Stanford che con la loro azienda gettarono le basi di Silicon Valley (Bill Hewlett e David Packard)
Oggi che la nostra quotidianità è sconvolta dall’emergenza CoronaVirus, quella storia ha un significato particolare. Perché mentre intuiamo che le conseguenze economiche della crisi sanitaria sono devastanti, rischiamo di trascurarne un aspetto cruciale: i suoi risvolti sociali e culturali, con conseguenze ancora più profonde sul nostro futuro. Che potranno essere anche benefiche, perché gli eventi traumatici, persino le tragedie e le guerre, provocano shock che costringono a ragionare e guardare le cose con occhi nuovi. E oggi forse stiamo assistendo pure al crollo, come macerie da rimuovere, di stereotipi e cattive abitudini di cui sinora non siamo riusciti a liberarci.
Quella scommessa sugli altri, inconcepibile per gli uomini d’affari del tempo, fu azzardata ma vincente e trasformò un immane disastro in grande opportunità, dando il via alla rapida rinascita di San Francisco, dove la banca di Giannini divenne presto la più grande del mondo: Bank of America.
Quello che il CoronaVirus spazzerà via senza pietà sono i pensieri senza respiro di chi è contro la scienza, le opinioni manipolatorie, smentite dalla misura dei fatti, il dilettantismo che uccide le persone, non solo le competenze, le fake news che per la prima volta vengono battute dalla velocità del vero, la volontà del popolo a cui nessuno affiderà la propria salute… E quando finirà, perché finirà, nulla sarà davvero più come prima. E ci ritroveremo in un mondo più consapevole, responsabile e felice di esserne uscito. Come in un dopoguerra senza guerra: quei momenti unici in cui si costruisce davvero il futuro”, dice Francesco Morace, sociologo fondatore del Future Concept Lab.
Certo dobbiamo fare i conti pure con commenti sconcertanti di intellettuali “rallegrati” dalla comodità di muoversi in strade o treni semideserti, con giudizi scontati di “apocalittici” che considerano l’epidemia una punizione divina meritata dall’uomo: accadeva nelle pestilenze dei secoli scorsi, accadde pure col terremoto del 1906 a San Francisco, che per ricchezza generata dalla Corsa all’Oro era città del vizio, della violenza, della corruzione. Invece siamo davvero all’alba di un’era nuova.
Eravamo quasi rassegnati alla lenta decadenza delle democrazie occidentali come la nostra e delle loro elite, sempre più fragili e meno funzionali, in tempi di populismo e strapotere dei social, rispetto a dittature e democrazie autoritarie. L’epidemia ci ha confermato invece che siamo parte di un Villaggio Globale in cui la società aperta è un valore, tentare di isolarsi è un’illusione, cercare di occultare, di opporsi alla trasparenza ha conseguenze devastanti a livello planetario. All’improvviso, invocare muri e barriere per proteggersi dagli “altri”, ci fa scoprire… che gli “altri” discriminati da muri e barriere possiamo essere noi, come ha scritto in un’illuminante riflessione Marco Tarquinio, direttore di L’Avvenire.
“Questo shock del CoronaVirus ha avuto come principale effetto positivo quello di ripensare il nostro atteggiamento nei confronti dell’attuale organizzazione sociale”, osserva Davide Bennato, docente di Sociologia dei Media digitali.
“Consideravamo ovvio procedere verso una società maggiormente individualizzata. Ci sembravano ‘naturali’ dal punto di vista economico un lavoro poco stabile, un welfare con limitate tutele dello Stato sociale sostituite da servizi a pagamento, una politica di ‘tutti contro tutti’ come espressione della contemporaneità. ‘Naturale’ considerare le professioni un modo di accumulare capitale, gli esperti un retaggio di sistemi di conoscenza superati, gli ‘altri’ come un ostacolo. L’epidemia ci ha svelato invece che la logica della stabilità lavorativa è importante (ad esempio per ricercatori e infermieri precari), che il welfare è una conquista da cui non recedere (sanità pubblica), che nella politica il dialogo democratico è necessario (la dialettica governo/opposizione), che la professionalità ha un’importante componente vocazionale (il sacrificio dei medici di Codogno), che gli esperti hanno un ruolo chiave di orientamento delle strategie (medici, virologi, epidemiologi). Il virus passerà ma la rivoluzione culturale che avrà innescato è il necessario ripensamento delle forme di vita civile che non potranno più essere ridotte a un individualismo rampante”.
E’ proprio questo radicale ripensamento del rapporto con gli altri il cambiamento più profondo, indispensabile in un Paese in cui troppi ancora praticano lo sciagurato sport del realizzarsi nella conflittualità, nel far perdere gli altri, quella che ho chiamato Sindrome del Palio di Siena. Pensiamo al significato profondo delle drastiche misure preventive adottate: richiedere un sacrificio collettivo ispirato non a proteggere dal pericolo i singoli, in prevalenza individui a basso rischio, ma la cittadinanza nel suo insieme (e il suo sistema sanitario, che tutela i più deboli) ci obbliga a comprendere che i problemi si affrontano sentendoci parte di una collettività, in cui la nostra sorte non può prescindere da quella di chi ci sta accanto, rinunciando quindi all’individualismo egoista.
E’ una sfida che riguarda le leadership in politica e pure nell’imprenditoria, che devono saper gestire un’emergenza, fronteggiare incognite e contemporaneamente comunicare, abbinando appropriatamente a misure di precauzione messaggi rassicuranti e lungimiranti. Per questo, la crisi può essere anche un’opportunità, per rinnovarsi.
“I sistemi chiusi implodono e creano una conflittualità autodistruttiva. Anche le organizzazioni che non adottano un approccio aperto rischiano di richiudersi in se stesse e di replicare schemi non più adatti”, osserva Stefano Schiavo formatore e consulente nell’ambito del marketing strategico, innovazione e organizzazione aziendale.
“Ciò che ha permesso alle società contemporanee di prosperare e superare le tante sfide degli ultimi secoli è l’approccio scientifico: l’idea di ‘non sapere’ ha superato quella dello studio dei ‘testi sacri’ come fonte della conoscenza. Sapersi avvantaggiare dei momenti di difficoltà, dell’incertezza, delle perturbazioni non solo per resistere, ma per migliorare: è il concetto dell’antifragilità reso popolare da Nassim Nicholas Taleb, autore del celebre ‘Il cigno nero’”.
Una svolta, per le elite dunque ma anche per noi, nel rapporto con chi ci rappresenta. Perchè in un’emergenza che riguarda la salute, malgrado il caos di informazioni su media e social non ci si affida al più astuto nel lanciare slogan online, a chi urla più forte, né agli “onesti inesperti”: si ascoltano i più competenti.
E’ la fiducia nella scienza, nella conoscenza, il vero antidoto alle paure, come ha sottolineato il presidente Mattarella. Premiare la competenza, cosa che in Italia purtroppo non è stata sinora la regola, è il modo migliore, per un Paese come per un’azienda, per guardar lontano e abbattere gli ostacoli che frenano il talento del proprio patrimonio più prezioso: le risorse umane.